martedì 8 settembre 2009

Economisti(ci) SNOB ( sine “nobelitate”): (2) Robet Lucas jr. e Edmund S. Phelps ( &co.)




Nel 2006 il Nobel per l’economia viene assegnato a Edmund S.Phelps considerato un neokeynesiano ( e quindi un apostata del vero verbo di Keynes secondo i “Post-keynesiani” che si considerano i legittimi eredi del cantabrigese ). I contributi che gli son valsi il riconoscimento da parte della Banca Centrale svedese riguardano la micro fondazione della macroeconomia nei suoi aspetti dinamici . Aspetti assenti nell’originario impianto di quest’ultima. In realtà si tratta dell’ennesimo tentativo di un fallimentare filone che tende a risolvere lo scandalo epistemologico che rende incompatibili gli statuti della Microeconomia e della Macroeconomia standard. La fallimentarietà di tale filone risiedendo nella revoca della rational choice ( scelta razionale) da parte dei soggetti economici che viene postulata in Microeconomia, nel tentativo di renderla compatibile con la mancata razionalità attribuibile all’equilibrio macroeconomico contrassegnato in generale dalla non piena occupazione delle risorse e in particolare dalla presenza di disoccupazione involontaria pur in presenza di impianti e capacità produttiva sottoutilizzati. Insomma il compito che da più parti si cerca di perseguire nel cercare i fondamenti microeconomici della macroeconomia è quello di superare l’ “errore di composizione” riscontrabile a livello macro per il quale il tutto in generale è non solo diverso ma minore della somma delle parti. Che è un modo elegantemente criptico oltre che esoterico per definire l’ “irrazionalità” costituita dallo “scandalo pubblico della miseria nel mezzo dell’abbondanza” che Keynes ha vanamente creduto di risolvere, lasciando inoltre sancito lo iato epistemologico tra gli ottimi equilibri che la scienza economica insegna si stabiliscono in relazione alle singole entità che animano il processo economico e la non ottima risultante di quegli equilibri una volta considerati tra loro aggregati.
Della necessaria fallimentarietà cui sono votati tutti i tentativi che cercano di conciliare la irrazionalità generale degli equilibri macroeconomici revocando il postulato di razionalità che sorregge gli equilibri a livello atomistico parleremo più oltre, Quel che va subito detto riguarda il fatto che il Nobel in economia è stato dato anche a chi come a Robert Lucas jr. allievo dell’altro Nobel Milton Friedman si è mosso in direzione opposta per riscattare la dismal science dallo scandalo epistemologico che riguarda definitoriamente la schizofrenia dei suoi insegnamenti. Questi ha tentato addirittura di risolvere il problema cercando di dare uno statuto razionale all’andamento ciclico dell’economia capitalistica, attribuendo natura “volontaria” alla disoccupazione ciclica spiegata con la ciclicità dell’intervento-intromissione pubblica nell’economia altrimenti retta dalle naturali armonie autoregolantesi dei mercati. A parte i veri e propri trucchi manipolatori, di cui abbiamo dato analitica prova altrove ( V.Orati, Una Teoria della teoria economica,Vol.II, Torino, 1997, P511 e sgg.), Lucas ritiene di poter dimostrare che non v’è scandalo nel prodursi della “miseria nel mezzo dell’abbondanza” se non nel senso di forzare la naturale armonia auterogalativa dei mercati. Infatti i soggetti economici in funzione di lavoratori perfettamente consci dell’ hybris ( limite umanamente invalicabile) di un “saggio naturale di disoccupazione”, prevedendo la fatale inflazione conseguente il delirio d’onnipotenza del volontarismo interventista e in possesso delle nozioni di una teoria economica migliore di quella standard - che assegna loro una razionalità solo adattiva e non anche predittiva - si ritirerebbero parzialmente dal processo produttivo. Ciò configurando gli estremi della “disoccupazione volontaria” determinata dalla loro “superiore” razionalità ( “aspettative razionali”) che logicamente non farebbe accettare di lavorare per un salario reale decurtato dall’inflazione. In attesa di tornare al lavoro quando nella fase del ciclo “teoricamente invariante” ( scoperto da Lucas) della deflazione che fa seguito ciclicamente all’inflazione.Naturalmente vano sarebbe cercare nel “contributo” di Lucas la ratio per cui solo da un certo momento della sua storia il capitalismo ha indotto lo Stato a intervenire con misure anticicliche. Infatti ciò significherebbe ammettere il dato di fatto incontestabile che i cicli e quindi la disoccupazione ciclica sono fenomeni che precedono la parentesi storica dell’interventismo pubblico nell’economia e l’intero edificio del pupillo di Friedman crollerebbe immediatamente. A ben guardare la revoca della razionalità trova il suo posto anche in tale risibile tentativo “scientifico” che la dice lunga sullo stato comatoso della “scienza economica”: è lo stesso Lucas a rinunciarvi con la sua teoria. E l’ensamble dei premi Nobel che cooptando i nuovi si decidano circa l’alternativa che si para tra l’iperazioinalità lucasiana jr. ( per non confonderlo con il filosofo Georgy Lukacs) o la perduta razionalità dernier cri ( anche nel senso di ultimo grido di disperazione da parte degli economisti(ci) ) dei molti altri Nobel condivisi con Phelps a tal riguardo. Non potendosi dare un tale riconoscimento a chi con approcci diametralmente opposti e inconciliabili tenta di risolvere uno dei vulnus principali che fanno della economics una collezione di opinioni ( dallo strampalato al risibile) piuttosto che un corpus teoricamente consistente a livello logico e metodologico. Che la comunità degli economisti(ci) non abbia avuto ripensamenti dopo essersi accorta di aver premiato con il Nobel sia il “diavolo che il buon Dio” appare conclamato in funzione del fatto che nel 2003 Robert Lucas , ben otto anni dopo il suo Nobel e i molti Nobel vinti da chi ha percorso la strada della deminutio della razionalità standard dei soggetti economici, è stato nominato Presidente Dell’American Economic Association.
Se a proposito dell’allievo di Friedman bastano poche battute per rendersi conto della più totale incostanza scientifica della sua teoria che ha dato smalto alle super “ aspettative razionali”, più spazio e argomentazione occorre per giustificare il giudizio di fallimentarietà che abbiamo anticipato a proposito dell’approccio di Phepls ( e di altri che ne condividono l’impostazione) che si muove nel solco precedentemente accennato. Con cui si è tentato e si tenta ancora di far si che la revoca della rational choice ai soggetti della Microeconomia sommandosi alla irrazionalità delle performance generali dei sistemi economici della Macroeconomia conferisca un sano e infine raggiunto status di “razionalità” scientifica alla intera “scienza economica”. Tentativo con cui si intenderebbe rendere compatibili gli equilibri non ottimizzanti delle sue parti con l’equilibrio “irrazionale” del tutto inteso come somma di quelle.
L’occasione per parlare di Phelps ce la fornisce - vera e continua fonte di ispirazione come passerella ineguagliata di ecomisti(ci) di “grido” ( da far paura!) - del 17 Aprile u.s. Con un articolo in tutta evidenza del suddetto dal titolo “Non c’è capitalismo senza incertezza”. Dove si sciorinano una serie di rituali giaculatorie contro socialismo e corporativismo , come si fa da ogni dove onde scongiurarne l’impellenza oggettiva imposta in realtà dal clamoroso ennesimo fallimento del capitalismo in versione di globalizzazione, riproponendo i sermoni moralistici sugli eccessi del laissez faire e le virtù di un capitalismo dove, di contro, si valuti l’esistenza dell’incertezza e del rischio. Virtù dimenticate e che per questo secondo Phelps si sarebbe verificata la crisi in atto , naturalmente e del tutto superficialmente diagnosticata come crisi finanziaria. A chi non fosse addentro i meandri dell’imponente e bancarottiero patrimonio teorico della “scienza economica” dobbiamo premettere che l’ “incertezza” di cui parla Phelps non è quella che riguarda l’intera condizione umana e che è uno dei temi della philosophia perennis, ma la così detta “incertezza di Knight” che evidentemente riguarda il fatto che in una economia dinamica dove la dinamica è affidata all’innovazione per definizione non v’è esperienza passata che permetta di prefigurare gli esiti dell’innovazione stessa.
Ma ciò posto e acclarato vediamo cosa ne può discendere da tale incertezza che Phelps &co. hanno tradotto in una revisione al ribasso della razionalità dei soggetti economici assunta a base del paradigma neoclassico standard. Consistendo la deminutio di razionalità in argomento a seconda dei vari sub -filoni in “informazione incompleta”,” asimmetria informativa”, “razionalità limitata” et hoc genus omne. Ebbene dal punto di vista dell’arricchimento gnoseologico e dell’atteso risarcimento scientifico della economics non è successo proprio niente, rimanendo del tutto chimerica l’attesa saldatura tra Macroeconomia e Microeconomia attraverso i molti , e con Nobel impalmati, tentativi di dare “fondamento microeconomico alla macroeconomia”.
Siamo costretti a rimandare ai nostri più paludati lavori per una adeguata esposizione della intera questione. Qui possiamo solo accennare ai pilastri logico-metodologici della nostra posizione radicalmente critica. Come c’era da attendersi due irrazionalità sommate non danno luogo a una rivista e soddisfacente “razionalità”. Se gli economisti(ci) avessero più frequentazione con la logica matematica avrebbero appreso che la legge di Duns Scoto annunciava il fallimento di cui stiamo parlando. “Ex falso sequitur quod libet”, così suona la predetta legge che dimostra come da premesse false ( non “vere” in quanto non “razionali”che nel nostro caso significa fuori dagli equilibri massimizzanti sia in campo micro che macroeconomico) si può dimostrare tutto e il suo contrario. Siamo cioè fuori dal rigore logico sotteso alla scienza. Inoltre in aggiunta alla rinuncia alla predetta razionalità, la “falsa” premessa da cui partono tutti i tentativi di dare fondamenti microeconomici alla Macroeconomia è quella che considerare fondate le basi della General Theory in merito al fatto che Keynes lì ritiene che crisi e ciclo non siano, come in realtà sono, una necessità del capitalismo in versione laissez faire. Infatti nella sua denuncia dello “scandalo pubblico della miseria nel mezzo dell’abbondanza” non vi è il minimo sospetto che la crisi e quindi il ciclo traducano la ratio capitalistica attraverso cui in presenza di laissez faire essi sono l’unico modo di metabolizzare le innovazioni e quindi il motore dell’accumulazione stessa del capitale. Se Phelps, come d’altronde l’intera “professione” degli economisti(ci), non citasse lo Schumpeter manieristico da barzelletta (come fa nell’articolo in oggetto ) ma ne avesse colto la sfida intellettuale, che dinanzi alla fandonia epistemologica dell’incertezza keynesiana ebbe ad affermare che la vera e autentica spiegazione dell’andamento ciclico dell’economia va cercata ferma rimanendo l’ipotesi della razionalità dei soggetti economici rappresentando la crisi una contraddizione necessaria del capitalismo, avrebbe dato un minimo di credibilità alla sua fama di studioso. Schumpeter aveva letto abbastanza da Marx per farsi ispirare da questi la più grande e rilevante parte del suo “progetto di ricerca”. Vorremmo sapere da quale cilindro Phelps abbia tirato fuori questa citazione sconcertante: “ l’incertezza rende l’economia soggetta a variazioni improvvise- tutti fenomeni osservati da Marx nel 1848..” Altro che incertezza e imprevedibilità, Marx ha dal suo canto capito che il clou della crisi è nella contraddizione storicamente definitoria tra produzione sociale e distribuzione privata dei frutti del lavoro; e si è a fondo interrogato sulla ciclicità con cui tale contraddizione si manifesta con le crisi di sovrapproduzione generale . Arcano di cui Phelps non da alcuna mostra di essere cosciente , come del fatto che Schumpeter ha tentato di dare una spiegazione della “regolarità irregolare” con cui si manifestano le crisi cicliche. Fenomeno questo che solo degli sprovveduti possono ritenere appartenere ad una “irrazionalità” ciclica dei soggetti economici. Insomma siamo nuovamente autorizzati a sentenziare di esserci imbattuti in altri casi di economisti(ci) da “degradare” agognando di una iniziativa che faccia restituire loro il blasone del Nobel, risultando essi irrimediabilmente SNOB, ovvero sine nobelitate ( senza qualità da Nobel). Per le modalità di un tale “cerimonia” rimando a quanto ho avuto modo di suggerire in un precedente articolo.
Vittorangelo Orati

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