martedì 8 settembre 2009

Chi ci salverà dagli economisti (ci)?


Uno dei pochi giudizi compiuti esternati dal ministro Tremonti, anche se sempre a livello di sussurro quando non in sogghigni o esclamazioni che esprimono la sua completa e giustificata sfiducia verso tale corporazione di “esperti” ( post festum!) di professione, riguarda gli economisti. Verso i quali il predetto ministro apprezza poco o punto la relativa “sapienza” e sottostante “scienza”. Chi ha la bontà di leggerci attraverso la stampa periodica, se non attraverso la nostra produzione libraria, sa come e quanto andiamo fortemente e da tempo sostenendo e argomentando circa una tale posizione, sfociata nella definizione di economisti(ci) attribuita agli economisti grazie a ciò che essi hanno fatto della “scienza economica”: una sorta di metafisica opportunamente modernizzata attraverso il ricorso massiccio a strumenti matematici. Strumenti che anche chi ha un po’ di frequentazione coi cardini della epistemologia sa che non vanno oltre la pur indubbia qualità di vivisezionare - seppure potenzialmente ad infinitum - il già noto, appartenendo la loro natura conoscitiva o gnoseologica ai kantiani “giudizi analitici”. Naturalmente non è che all’interno della disciplina non si abbiano diverse correnti di pensiero che vanno dall’estrema e sin qui vincente opzione armonicistico-contemplativa a quella antiarmonicista-interventista. Dove la prima facente capo alla sempreverde fede nei meccanismi autoregolativi del mercato capitalistico (neoclassici, neo-neoclassici, anarcocapitalismo etc.) e quindi escludendo ogni intervento sul suo proprio oggetto rappresenta perciò e addirittura un autentico scandalo epistemologico, finendo per assumere i contorni di una superstizione prescientifica. Ma nell’altra ( keynesiani di ogni ordine e grado), che almeno si pacifica con le cifre volontaristiche (non solo favorevoli all’intervento sul proprio oggetto di studio ma mosse dall’obiettivo di una sua manipolazione ai fini del miglioramento della condizione umana) tipiche della scienza moderna , il livello mistico o fideistico si mostra nel suo scivolare da una posizione di apologia diretta del capitalismo tipico della prima opzione dottrinale e quindi della ipostasi della storia a quello della apologia indiretta di un tale modo di produzione: ci sono difetti nel “sistema” ma possono essere corretti ! Così rilanciando in modo non scopertamente anacronistico l’ingenua apologia “antivolontaristica” dell’altra corrente di pensiero, convergendo con questa nel giudizio per cui, con locuzione leibniziana, il presente e quindi il capitalismo sarebbe “il migliore dei mondi possibili”. Dunque una fede rattoppata o riagghindata quanto basta : “un Dio minore” cui dare una mano, ovvero una passaggio dal provvidenzialismo settecentesco “fisiocratico -smithiano” ancorato al concetto di “ordre naturel” a una più impegnativa teodicea passata attraverso il setaccio dell“etica protestante” calvinista ( Max Weber). All’appello mancano solo i sedicenti “eterodossi “invero null’altro che artefici di improbabilissime operazioni di sincretismo di stampo new age ( Wicksell + Schumpter+ Keynes+ Marx,+Sraffa ,etc.). Che, trattandosi anche in questo caso di fenomenio sostanzialmente religioso ( non avendo alcuna fondata base scientifica) dovrebbe far parlare di “bestemmie” piuttosto che di intrecci di paradigmi tra loro irriducibili. C’è poi la sparuta pattuglia dei marxisti “ duri e puri”. Quelli, che magari senza saperlo, condividono il dogmatismo bordighiano che tratta il lascito intellettuale di Marx come Bibbia inemendabile e definitiva. Ma questa realtà rievoca tanto stringentemente quella di Monte Athos o, dove vi sia una qualche aggregazione, “il buzzattiano “Deserto dei tartari” da assumere addirittura i contorni del fanatismo fondamentalista, e quindi la sua iscrizione di diritto nella super-religiosa fede nel crollo inevitabile del capitalismo per la “caduta tendenziale del saggio del profitto”. O altra e equivalente scivolata ricardiana da parte del trevigiano. Dunque non si ha altra scelta nel mondo degli studiosi ufficiali di problemi economici che distinguere tra diversi livelli di alienazione “religiosa”. Ma non è certo la “ragione” epistemologica o altra e diversa teoresi scientifica quella che ispira l’avversione verso gli economisti da parte del superministro dell’economia Tremonti. Né a confortarci può valere l’idea di una sua elaborazione in fieri alternativa a quella akkademica ufficiale, alla luce dei suoi parti pubblicistici. Dove il clou del “messaggio” è una via di mezzo tra una qualche nostalgia di un tramontato mondo alpinpadano ( o se si vuole cisalpino) e il suggerimento per una impossibile metabolizzazione della globalizzazione a piccole dosi , ovvero di una resa alla sua ineluttabilità che si sarebbe dovuta però attuare con ritmi meno travolgenti. Insomma una particolare declinazione dell’eccessivismo”. “Partito oggettivamente rilevabile quello “eccessivista”, assolutamente trasversale tra gli economisti(ci) di ogni orientamento canonizzato che sono ben lungi dal sospettarne la possibile individuazione. Eccessivismo che ha nella mistica della “moderazione “, di ciò che moderato non può essere per definizione, la sua cifra “religiosa”. Cifra che equivale ad aver fede in una superstizione quale quella dell’illusione di poter imporre al capitalismo dispiegato di essere “misurato” , nel mentre è proprio negli eccessi e nelle sue “dismisure” quali-quantitative che trova la sua ragion d’essere il profitto e la connessa accumulazione del capitale. Cosi stando le cose , chi ci salverà nell’attuale peste economica dagli economisti(ci) e dai loro non meno, ancorché ignari, mistici critici che oggi in Italia hanno il compito di attuare ( per dirla con Keynes) il “punto di vista del Tesoro”? Vittorangelo Orati

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