domenica 6 settembre 2009

Economisti(ci) SNOB ( sine “nobelitate”): (1) Il caso di Merton e Sholes




Intendiamo dedicarci , in più “sessioni”, a commentare alcune “perle” scientifiche in materia di economia immortalate con l’attribuzione del relativo premio Nobel. Una tale intenzione si inquadra nella missione che ci siamo assunti di far comprendere a un più vasto pubblico di quello che segue o dovrebbe seguire la letteratura specializzata le immani lacune e la conseguente fallimentarietà della “scienza economica” accreditata, e quindi la profonda esigenza di rifondarla in modo radicale. Ciò al fine di non assistere più all’ormai insopportabile scandalo della “miseria nell’abbondanza” cui continua a condannarci un decrepito capitalismo e una fallimentare economics, che ancora non ne ha compreso la causa e che quindi è lontana da poterne suggerire cure e rimedi.
Iniziamo dai pestiferi “inventori” della così detta e fino a ieri celebrata “finanza creativa”, che ha fatto da detonatore e amplificatore della immancabile crisi ciclica di sovrapproduzione capitalistica. Inventori a cui per anni sono stati concessi tutti gli onori dell’accademia insieme a straordinarie prebende. Pensiamo evidentemente ai due premi Nobel assegnati nel 1997 a Robert C. Merton e Myron S. Sholes. Sono due casi estremi di una più generale esigenza per la quale si dovrebbe pensare a una sorta di punizione riparatrice: revoca del Nobel e restituzione almeno del suo ingente ammontare da destinare a scopi effettivamente sociali. E sarebbe il meno per quanto riguarda l’aspetto economico se si guarda alle bibliche conseguenze negative della loro “scoperta”: il ”teorema di Merton” e la “formula di Sholes” applicata ai mercati delle opzioni come sottospecie dei mercati derivati. Il teorema in questione, che appropriatamente Bernard Maris ha ribattezzato come “teorema d’eccitazione” dandone una efficace sintesi, può così rendersi: più un mercato è rischioso , più uno speculatore è eccitato ad assumere rischi , eccitando a sua volta il mercato, e così via . Concatenazione diabolica questa che conduce alla tesi per cui “il prezzo di una opzione è una funzione crescente del rischio. Ne discende che se si è in grado di alimentare una costante “eccitazione” intorno a una opzione( alimentandone la domanda), il rischio di variazioni al ribasso sono oscurate, specie in presenza della facile finanziabilità del livello di eccitazione dovuto all’ “effetto leva” che permette che si scommetta su qualsiasi titolo presente in Borsa senza possederlo, non più di quanto si possegga una partita di calcio o il set di numeri da estrarre allorché si scommette rispettivamente al totocalcio o al gioco del lotto (una indulgente politica lassista da parte delle Banche Centrali facilita e lubrifica ulteriormente siffatto proscenio). Lungi dal fermarsi al semplice livello enunciativo i due personaggi in questione si son dati da fare mettendosi in società con tale John Meriwether e tale David Mullins, rispettivamente un ex broker di Salomon Brothers e un ex vicepresidente della FED, fondando la famigerata LTCM ( Long Term Capital Management) miseramente poi fallita trascinando con sé un imponente serie di istituti bancari, arrivando all’epoca a raggiungere un giro di affari di 1250 miliardi di dollari nettamente superiore al coevo PIL italiano di allora e dello stesso dato riferito al 2002 ( 1184mld$).Quindi Merton e Sholes si sono messi a vendere una formula dove si guadagnava a misura di un rischio crescente . Formula con alla base un presupposto teorico che tutto il neoliberismo ha fatto suo come grido di battaglia: “mercati efficienti”, nel senso neoclassico rilanciato dall ’altro Nobel , Gerard Debreu dove, con il concetto di “beni contingenti”, quest’ultimo suppone informazione perfetta e quindi con assenza di alea “irriducibile”, ovvero assenza di un’alea sistemica incalcolabile perché imprevedibile. In definitiva, affidandosi a cotanti professori si è creduto di affidarsi agli scopritori in economia dell’equivalente formula dell’eterna giovinezza in biologia. Ma nessuno che si sia soffermato a pensare che in Borsa vige la logica dei giochi a “somma zero” . Se la faccenda non riguarda i gonzi che da sempre cadono nell’illusione degli esperti dispensatori di fortuna di turno, è grave per l’insieme dei premi Nobel che rappresentano un meccanismo di cooptazione essenziale nella procedura di assegnazione di un tale riconoscimento. Ebbene, se il rischio è annullabile per magiche conoscenze circa il futuro, la stessa Borsa non ha alcun senso se non in termini di sfruttamento dell’ignoranza altrui. La qualcosa contrasta però con l’impianto neoclassico che non vuole e non può dualizzare il mondo dei soggetti economici distinguendo i perfettamente informati da quelli che non lo sono. Si tratterebbe di un filosofia sociale e economica che tradirebbe l’impianto dell’ individualismo e di quello specifico per la economics dell“individualismo metodologico” che non può che “idealtipizzare” ( tipizzare un modello ideale) un soggetto universalmente definito, nel caso con l’attitudine a compiere rational choice ( scelte razionali). Individalismo metodologico rispetto al quale non v’è sorta di pentimento alcuno, risultando anzi riproposto recentemente con vigore dal metodo dell’” agente rappresentativo”. Metodo sulle cui difficoltà analitiche a comprendere come si dia disoccupazione involontaria e magazzini stracolmi di merci invendute è inutile parlare. D’altro canto non si può neanche pensare neoclassicamente a un mercato dell’incertezza quale è per definizione la Borsa ( Keynes). Perché incertezza e mercati efficienti , ove tutto è selfadjusting in modo armonioso, sono logicamente incompatibili, così come sono impensabili mercati della scommessa dove sono tutti vincitori e nessuno perde.
Sui campi di battaglia e seguito di sentenze di tribunali militari e anche per i sacerdoti è prevista la degradazione. Anche per i nobili che si macchiavano di fellonia era prevista la revoca del blasone e quindi della nobiltà. Sarebbe adeguato e consono ai progressi e allo stesso spirito della scienza mettersi almeno in linea con il mondo della guerra e della fede inaugurando l’ istituzione che preveda la “denobelizzazione” ( ci si passi l’eufemismo) di quanti si mostrino indegni del massimo dei riconoscimenti scientifici, il premio Nobel. Dovrebbe bastare il reato di propaganda infondata della mistica dei mercati autoregolantesi armonicamente. Comprendiamo che non vi sono tribunali e giudici che non dovessero a loro volta autodenunciarsi. Ci si dovrebbe almeno accontentare di procedere contro quelli che non contenti del ruolo di suggeritori e mandanti degli omicidi bianchi della logica di mercato facciano essi stessi mercato della loro mistica. Insomma accanto al reato “morale” e scientifico in cui incorrono gli economisti(ci) si porrebbe il reato di “economistica aggravata”. E se anche per una tale fattispecie sarebbe impossibile celebrare processi, almeno per i premiati con il Nobel, visto l’alto valore simbolico del fatto, si dovrebbe poter istituire un processo di restituzione del titolo a motivo della colpa, in acronimo, di “SNOB” ovvero “sine nobelitate”, cioè assenza di qualità da Nobel. Per il tribunale dovrebbe a questo punto bastare una giuria popolare formata da dissocupati involontari dovendosi escludere quella della pandemica presenza degli economisti(ci) che finirebbero con l’approccio dell’ “agente rappresentativo” per assolvere l’imputato che li incarna accademicamente. Mi propongo come uno dei ( pochissimi) giudici istruttori.
Vittorangelo Orati

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