martedì 1 novembre 2011

Rattristanti spigolature su economisti(ci) prêt-à-porter (di varie taglie): quelli che leggevano Sartre invece dei nanerottoli contemporanei







Solitamente sono catalogato come “scrittore non facilmente digeribile”. Ma dopo aver ricordato che:

per gustare piatti di “alta cucina” ( vedi l’enciclopedico Nero Wolfe) occorre avere un adeguato e preparato palato;
per il “riso in bianco” son buoni stomaci dell’intero mondo animale;
pur per un semplicissimo riso pilaf occorre una pur minima educazione alimentare;
i libri dei “classici” al di fuori dei competenti son raramente definiti solo “belli” ma sempre anche “pesanti” ( come un cibo poco digeribile);

in questa occasione mi abbandonerò ad uno stile “piano”. Ben sapendo che al di fuori del linguaggio musicale a ciò difficilmente si accompagni nel linguaggio “letterario” e in specie saggistico alcunché di intellettualmente “forte”. Con l’ apparente eccezione del ricorso allo stile aforistico ( vedi la sinonimia tra “piano” e “adagio”): una volta però che questo sottenda un qualche magnum opus dell’autore di apoftegmi. Magnum opus che fornisca la chiave interpretativa della sua sfida ermeneutica, affidata appunto al suo “massimario” ( mi sia concessa breve “licenza” per terminologia non proprio popolare).

Vorrei iniziare dall’improvvisarsi anche quale economista dall’inflazionistico e inflazionato Roberto Saviano in occasione degli annunciati duetti televisivi con il “povero” Fabio Fazio. “Povero” perché da tanti compianto, a iniziare da se stesso per essere rimasto qualche tempo addietro e per breve tratto senza lauto contratto televisivo: tantoché per assorbire lo shock ebbe a dire di aver riempito l’angoscia dell’attesa di un nuovo ingaggio nella ricerca di un appartamento da acquistare a Parigi.
Tornando al Saviano - il cui imperituro contributo all’umanità è quello di aver divulgato ciò che era sin lì oscuro e incognito, cioè che la malavita campana ( camorra = Gomorra), e più in generale la mafia e suoi derivati, è “cattivella”-, questi nell’ “ammuina” mediatica che ha accompagnato l’acclamato avvenimento televisivo suddetto ha avuto modo di rintuzzare a una critica che lo riguardava: il non aver rivelato il quantum retributivo della sua complessiva e prevista performance. La difesa di un tale voluto e praticato oscuramento è consistita, niente po’ po’ di meno che, nel richiamo a una elementare ( “Watson” ) nozione della scienza economica da parte di questo novello Galileo della criminologia: la libera concorrenza. Che come è stranoto è l’ultimo coup de fudre dei geniali economisti(ci) ( vedi il loro vate, Nicola Rossi ) della “sinistra (lombrosianamente parlando). L’esemplificazione suonava più o meno così: “se si rendesse noto quanto verrò a guadagnare dalla RAI si altererebbe il sacro principio della libera concorrenza tra network televisivi contendenti .“(sic!!!) Ora l’enormità panica di una tale fandonia - che inverte, con massacro della logica, nel suo opposto il principio della libera e perfetta concorrenza, che implica necessariamente quello della totale trasparenza dei mercati ovvero dei termini quali-quantitativi degli scambi e quindi dei presupposti termini contrattuali delle quantità e dei prezzi implicati – travalica la avvilente modestia culturale spiattellata da Saviano, gettando lumi sulla “savianità”. Che Potremmo definire come una sindrome che colpisce personaggi e, ancor più perniciosamente, i loro fans, rispettivamente inventati e subornati a opera dell“industria culturale” ( nella sua spregiativa accezione francofortese). Che, visto il successo che avviluppa e travolge i primi, vede costoro elevati, ben al di fuori dei loro ambiti conoscitivo-professionali al ruolo di maître-à- penser. In tali vesti riconosciuti da un pubblico ormai decerebrato che non sa più scegliere nulla che non gli provenga dal falso e imbonitore mondo della pubblicità. Per non parlare della corrente “pedagogia” dei media ( la “e” si legge “e” trattandosi di latino) afflitti da perenne e crescente bulimia di personaggi “nuovi”, fossero pure scopritori dell’ultima modalità
( pare si dica “tendenza” ) con cui far bollire l’acqua per gli spaghetti. A Fromm, a sua volta rifacitore edulcorato su commissione della venefica “industria culturale” della impietosa analisi marxiana del feticismo e dell’alienazione sussunti al mondo delle merci; Fromm che ha dominato i salotti delle “anime belle” dei tardi anni “70, colte sul loro “vicolo di Damasco” dall’icastica valenza della sua massima ’”essere”versus ”avere”- la “savianità” ha sostituito il più recente e involutivamente peggiorativo passe-partout per l’”avere” a mezzo successo: l“apparire”. E possibilmente non lasciare mai la scena a rischio di essere estromesso, ancorché ormai ricco sfondato ma a tal punto privato del suo inconsistente “essere ufficiale”, dall’ultimo suo clone partorito ( abortito, in verità per l’ Estetica e l’ Etica) dalla “società dello spettacolo”.
Riparato dall’aura salvifica della parola d’ordine “libera concorrenza” il Saviano adepto di Adam Smith e sorretto dalla sottesa teologia dei miracoli (fiscali, nel suo caso) della “Mano Invisibile” ha beneficiato della coltre di quest’ultima, non trovando uno solo dei molti economisti(ci) disponibili – alla maniera di Scilipoti et similia - o anche un solo “savio” bottegaio, ammaestrato dall’università della strada, che denunciasse questo delirio di onnipotenza cerebrale. Anzi, vecchie cariatidi del successo massmediale come Umberto Eco, da tempo incapaci di rinverdire antichi primati di “appari-sc(i)enza” si accontentano, come è avvenuto recentemente in un teatro milanese, di sfruttare l’”effetto satellite” del “pianeta Saviano” prendendosi un po’ della sua luce, per quanto riflessa. Si tratta di ben altro compromesso e quindi di ben altra mestizia per chi vi ha assistito, essendo incomparabili le carature in campo. Nel caso di Eco si tratta pur sempre di uno studioso di vaglia che ha pensato di far cassetta travestendosi, “un po’ per celia un po’ per non morir”, da narratore. Come ebbe a testimoniare la Yourcenar a Giovanni Minoli ( uno dei pochi autentici giornalisti d’inchiesta) che si imbatté ( e già il fatto di riconoscerla è stato segno di valore) con la sua troupe per caso in un aereoporto nella grande scrittrice chiedendole, tra l’altro, cosa pensasse di Eco, allora autore del bestseller mondiale “ Il nome della rosa” e sentendosi rispondere dalla sua interlocutrice che la stessa non aveva giudizio da dare, interessandosi solo di “letteratura”. Ma questo è il clima nel quale viviamo. Avrebbe mai Marguerite Yourcenar condiviso alcunché con tal Roberto Saviano da Caserta, che non ha speso una sola parola per i veri martiri delle mafie, come il giovane giornalista napoletano Giancarlo Siani genuino e autentico cronista investigativo del malaffare malavitoso? Il Saviano che pur si è attaccato al pallido ricordo del defunto Pietro Taricone, star del fotoromanzo o cosa simile, che con due anni più innanzi negli studi aveva frequentato la sua stessa scuola e che per qualche giorno l’aveva oscurato con la sua funambolica morte? Il vero paradosso è che quanto abbiamo appena descritto davvero implica la parte nascostamente nefanda della pervasiva concorrenza che in beffa ai molti fa da spettacolo pagante per i soli “beniamini della scena”, siano essi vivi, morti o sopravvissuti senza esclusione di colpi. Ma, questo in barba a Saviano, perché di vera concorrenza non può parlarsi trattandosi dei benefici della logica di mercato per i soli oligopolisti dell’apparire.

P.S.
Anche Eugenio Scalfari che sembra elemosinare una nomina a senatore a vita dall’osannato Giorgio Napolitano come prima dall’altrettanto osannato Ciampi, qualche sera fa non ha mancato di alludere positivamente alla figura di Saviano di cui la sua è agente e sponsor autorizzato. E’ un altro caso insieme a quello di Umberto Eco che sembra contraddire l’assunto storico-materialistico che vuole che la vera libertà cominci dalla “libertà dai bisogni”. Sono casi in cui invece quel principio rimanda al suo necessario completamento. Ci si deve liberare socialmente dal “regno dei bisogni” negando la logica del loro porsi nel e per il capitalismo. Se si è miliardari grazie al capitalismo in realtà si resta schiavi del mezzo, che mostra la sua falsa strumentalità o neutralità che non è mai autonoma, storicamente o sovra-storicamente oscurata dalla “ragione strumentale”. Ma ciò è risultato o ignoto o rimosso per Scalfari che si è dichiarato non a caso “illuminista” dalla Gruber nella circostanza ricordata, saltando a piè pari il conclamato fallimento di quell’utopia prescientifica, protestata da oltre ottant’anni dal “pensiero critico” ( Dialettica dell’illuminismo, di Horkheimer e Adorno). Eppure la mia generazione, che pur non ha fatto le Guerre Puniche, si cibava dello scalfariano ( con Arrigo Benedetti) formato lenzuolo, dove il giovane Eco intervistava Sartre e personaggi di tal calibro.
Si, noi leggevamo Sartre e roba di tal alto livello, nel mentre Eco e Scalfari nella loro tarda “saggezza” ( savia-nezza?) vogliono che ci accontentiamo di insignificanti comparse e controfigure. I Sartre rifiutavano con clamore i miliardi di lire dei Premi Nobel e Lenin, e i Feltrinelli morivano tragicamente per le loro idee. I figuranti attuali nascondono i loro guadagni in euro non da ultimo con il coup de théâtre di cambiare editore: da Berlusconi ai tipi degli eredi di Giangiacomo Feltrinelli, per tardiva scoperta di mancati “amorosi sensi”.
Era la tarda primavera del 1980, credo lo stesso 15 Aprile, e prestavo la mia collaborazione come economista a quotidiano di Napoli su richiesta personale del suo direttore Massimo Caprara, già segretario particolare di Togliatti e tra i primi fondatori de . Il giorno non lo ricordo con precisione potendo anche essere quello successivo alla morte del grande pensatore francese, ma mi è rimasto impresso per più motivi. Caprara mi telefonò disperato, non trovava un professore di filosofia “marxista” o giù di lì ( erano tutti “introvabili,”deseparacidos”) che volesse scrivere un articolo che ricordasse la figura di Sartre e la sua opera. Lo scrissi io e lo intitolai: “Dove sono gli intellettuali marxisti e progressisti?”. Figuriamoci ora, dopo trent’anni.
Si vogliono altri segnali e prove dei nostri oscuri e oscurati tempi “savianeschi”?

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